Nell’ambiente scolastico si parla di inclusione in riferimento alla categoria dei Bisogni Educativi Speciali che sono spesso il prodotto di un’attività discriminatoria che separa tali alunni dal resto della classe. Tale categoria viene utilizzata proprio per individuare quegli studenti che sono portatori di particolari difficoltà o di maggiori bisogni (definiti speciali) rispetto agli altri. Se da un lato questa categorizzazione ha permesso di riconoscere gli studenti più in difficoltà, attivando per loro percorsi didattici differenziati, tarati sulle loro capacità, dall’altro non sfugge da una dinamica classificatoria e di accasellamento. L’alunno viene etichettato e ridotto al suo “bisogno speciale” in modo che l’attenzione si focalizza su ciò che manca anziché su ciò che c’è, ovvero sul bisogno anziché sulle potenzialità.

L’obiettivo della scuola dovrebbe essere quello di rispondere con efficacia ad una pluralità di bisogni, eliminando gli ostacoli presenti nei processi di apprendimento di quegli studenti che si differenziano dalla norma. In quest’ottica non è la norma, intesa come attività normalizzante, il riferimento sul quale fondare le azioni di progettazione da realizzare in un percorso educativo, ma il saper considerare la diversità di ciascun studente come una ricchezza, come un valore aggiunto.

Gli insegnanti possono fare la differenza se messi chiaramente nella condizione di poter intervenire. Il lavoro dei docenti, pertanto, deve essere considerato all’interno di un sistema più vasto e complesso in cui gli ostacoli all’apprendimento possono essere rimossi nel momento in cui la scuola si pone come obiettivo la piena accettazione e il successo scolastico di tutti gli alunni. Ciò è possibile nel momento in cui la scuola stessa riesce ad attivare percorsi di formazione del corpo docenti per modificare sistemi di istruzione classificatori e percepiti come escludenti.

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