Un bambino a cui non piace studiare, è un bambino che non è stato capito.

Sin da piccolo un bambino impara ad apprendere regole, saperi, conoscenze che possono essere acquisite sia in maniera volontaria che involontaria.
Lo studio, per esempio, è una particolare forma di apprendimento volontario, ma non è sempre un atto semplice ed automatico. Apprendere presuppone lo sviluppo di numerose competenze (capacità di letto-scrittura, memoria, decodifica, ecc.) che però non si esprimono allo stesso modo in tutte le persone.

La natura riguardo le difficoltà di apprendimento è variegata: ci possono essere cause neurologiche che compromettono il naturale svolgimento di funzioni esecutive, o semplicemente non si sviluppano le strategie di studio più adeguate al nostro stile di apprendimento.

Per organizzare un buon metodo di studio, il professionista può seguire principalmente 3 fasi:

  1. Pianificazione. Prima di iniziare a studiare è importante organizzare il setting. Studiare in un luogo strutturato in un certo modo, con gli strumenti necessari, facilita la concentrazione. Troviamo un luogo tranquillo, lontano dalle distrazioni, con una scrivania e il materiale necessario per lo studio.
    La pianificazione riguarda anche e soprattutto l’organizzazione dell’attività di studio: ovvero bisogna conoscere l’argomento che lo studente tratterà, prevedere il tempo da dedicare all’attività e stabilire la presenza di pause e la loro durata.
  2. Potenziamento. Preparate anticipatamente delle attività specifiche per potenziare le abilità più carenti nel bambino.
    L’attività di potenziamento non è sempre strettamente correlata alla materia di studio, ma più in generale a quelle competenze base necessarie allo sviluppo dell’apprendimento. Se per esempio il bambino ha difficoltà nella memorizzazione dei concetti, potrò potenziare questo aspetto, attraverso il racconto tramite immagini o la creazione di una mappa che semplifichi determinati concetti con delle immagini create dal bambino.
    L’attività di potenziamento è utile applicarla, a prescindere che si tratti di un bambino con disturbo dell’apprendimento o no; l’applicazione costante di quest’attività facilita l’autonomia e il processo di apprendimento.
  3. Strategie operative. Riguardano il metodo di studio più idoneo da adottare in base a chi ci troviamo di fronte: creazione di mappe, divisione del testo in paragrafi, analisi dei contenuti, ecc.
    Non esiste un metodo di studio universale che si possa adattare alle caratteristiche di ogni studente; il compito del professionista è quello di riuscire a trovare nel tempo un metodo di studio efficace che più si adegua alle esigenze del bambino o ragazzo con cui lavora.

Durante il processo di studio, è molto importante che il professionista non si concentri solo sugli errori commessi dallo studente, ma che valorizzi le risposte corrette e il suo atteggiamento positivo.
Nel percorso di apprendimento gli errori sono inevitabili, se ci fossilizziamo solo su questi e non guardiamo alle cose esatte che il bambino produce, lo mortificheremo ancora di più, impedendogli di crescere e di acquisire sicurezza.

Un atteggiamento accusatorio, di analisi delle colpe, rischia seriamente di compromettere la relazione con il bambino, e impedisce all’adulto di vedere quelli che possono essere i margini di miglioramento.
Il nostro ruolo non è quello di correggere gli errori o di evitare che il bambino faccia errori, ma bensì quello di renderlo consapevole dei propri sbagli, affinché nel tempo possa evitarli da sé.

Nel lavoro con studenti particolarmente oppositivi allo studio o con una bassa autostima, quando emerge un atteggiamento favorevole, interessato, da parte loro, è bene farlo presente nel momento stesso in cui viene manifestato. Questo produce una sorta di rinforzo, perché il bambino coglie che siamo attenti ad ogni aspetto del suo “stare” nella situazione, e quindi comprende che siamo dalla sua parte. Dunque non aspettate la fine dei compiti per dire cosa è andato bene, ma manifestatelo appena il fatto accade.

Per concludere, ricordiamoci sempre che quando i bambini non vogliono studiare, non si vogliono impegnare, non è per fare un dispetto a noi adulti, o andare contro le regole, ma è perché esprimono un malessere che va oltre la singola situazione: dietro la non volontà di studiare, c’è molto di più.

L’obiettivo del professionista che affianca il bambino in questo percorso è quello di accogliere questo malessere, riconoscerlo e allo stesso tempo mostrare il potenziale che il bambino ha per superare determinate difficoltà.

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